Giornalisti vs scienziati
In un articolo pubblicato sul sito del Guardian, il chief online editor della rivista Nature Ananyo Bhattacharya ha elencato quelli che, secondo la sua opinione, sono i nove motivi che dimostrano come gli scienziati non capiscano i principi e le dinamiche del giornalismo. La risposta di una parte della comunità scientifica non si è fatta attendere, attraverso alcuni post dai titoli eloquenti (es. “i nove modi in cui i giornalisti dimostrano che non conoscono la scienza ”).
I nove punti elencati da Bhattacharya sono le principali critiche e richieste che i giornalisti ricevono dai ricercatori scientifici.
La struttura standard con cui le notizie di cronaca vengono riportate non funziona per la scienza
Lo schema tipico delle news è quello della piramide invertita , in cui prima vengono presentate le informazioni più importanti, poi i dettagli più significativi ed infine una descrizione generale del contesto. Secondo Bhattacharya questo schema funziona bene anche per le notizie scientifiche, e sfida chi ne adotta uno diverso a verificare quanti lettori arrivino alla fine dei loro post.
Per quanto mi riguarda è lo schema che si deve adattare alla notizia. Posso capire che se l’articolo su un quotidiano non appassiona da subito il lettore e viene percepito come “noioso” il giornalista non ha fatto bene il suo lavoro. Ma se io scrivo un post sul mio blog su una ricerca i cui risultati richiedono alcune conoscenze di base indispensabili (e che presumo non tutti possiedano), come può un lettore essere invogliato al leggerlo interamente se non riesce nemmeno a comprendere la terminologia o l’argomento? In questo caso lo schema a piramide invertita non è probabilmente quello più adatto.
Non c’è un limite al numero di parole utilizzabile in internet. Perchè si leggono notizie di cronaca scritte in 300-700 parole ma le affermazioni degli scienziati vengono spesso ridotte a poche frasi o parole scelte ad hoc?
Anche qui Bhattacharya fa riferimento alla fruibilità dell’informazione. Una notizia più breve ha meno possibilità di essere noiosa, occupa meno spazio (lasciandone ad altre) ed è più veloce da scrivere e revisionare.
In questo caso ha ragione Southern Fried Scientist quando spiega che anche molti scienziati sanno scrivere bene e possiedono una capacità di sintesi efficace. Gli abstract degli articoli scientifici sono un ottimo esempio. Si leggono invece molti articoli in cui i risultati delle ricerche vengono usati solo come aggancio per scrivere storie che hanno più attinenza con il costume che con la cultura. Ovviamente nessuno impedisce ad un giornalista di adottare questo stile, se lo ritiene adeguato per il proprio pubblico, ma che almeno ciò non accada all’interno di pubblicazioni di un certo livello o con un target di lettori dotati di un minimo di intelligenza o curiosità.
Il titolo dell’articolo è un’iperbole
Secondo l’autore il titolo non deve raccontare una storia ma catturare l’interesse del lettore senza dare informazioni sbagliate.
Purtroppo è più facile a parole che nei fatti, a giudicare dai titoli ad effetto che si leggono in giro, il cui risultato principale è di ingannare il lettore sui contenuti a cui si riferiscono. I miei preferiti sono quelli sulle scoperte del “gene del”, utili solo come pretesto per parlare di temi evergreen come alopecia, cellulite, shopping, .
Modifica subito la mia affermazione colorita
Bhattacharya sostiene che per dare più umanità al racconto è necessario riportare le esatte parole degli scienziati, anche se utilizzano termini coloriti o potenzialmente sconvenienti.
Condivisibile, ma se la persona intervistata ritiene che certe frasi non vadano pubblicate è il giornalista che dovrebbe mostrare un po’ di cortesia e tagliarle dall’articolo.
Perchè ha enfatizzato le implicazioni da tabloid del mio lavoro?
A quanto pare il lavoro del giornalista scientifico non è quello di comunicare i risultati di ricerche al grande pubblico, ma di sfruttarne senza distorcerli alcuni aspetti (non necessariamente quelli importanti o innovativi) solo per scrivere una storia.
Dal mio punto di vista, opinione estremamente discutibile.
La storia non contiene una raccomandazione essenziale o contiene errori
Bhattacharya ritiene che un articolo scientifico contenga tutte le informazioni essenziali per la sua comprensione, e che nella maggior parte dei casi alcune raccomandazioni o ammonimenti da parte dei ricercatori non siano necessari al fine della comprensione della storia. Ed è sempre possibile commettere errori, segnalabili in seguito con una errata corrige.
Gli scienziati sono per natura perfezionisti, ed ogni aspetto di una ricerca assume un’importanza che un giornalista od il semplice lettore non riconosce. L’importante è che l’omissione non modifichi il senso della ricerca rendendo l’articolo impreciso o del tutto scorretto.
Non puoi scrivere un articolo sul mio lavoro, te lo proibisco
Richiesta un po’ pretestuosa, ma giustificabile se il giornalista scrive ad esempio per una rivista di gossip.
Come ha potuto citare quella persona che ha un’opinione opposta alla mia, e quindi sbagliata?
Un giornalista deve essere in grado di riconoscere un esperto del settore di cui vuole scrivere, avere senso critico e l’esperienza per riconoscere se una ricerca merita di essere trattata in un articolo. Deve inoltre scegliere con saggezza i soggetti da interpellare nel caso voglia presentare delle opinioni o idee contrastanti con quelle della ricerca. Il rischio è di illudere il lettore che esista un dibattito in un certo settore quando in realtà così non è, come nel caso del riscaldamento globale.
Rispetto a qualche anno fa la scienza ha guadagnato molto spazio nei media, paradossalmente anche grazie ad esempi di pessima divulgazione (meglio non fare nomi), che almeno hanno il merito di far arrivare al grande pubblico l’idea che la scienza può non essere noiosa se presentata nel modo giusto. Esempi negativi che si spera diventeranno sempre più rari, magari con un maggior dialogo tra giornalisti e scienziati, il cui rapporto è stato ben esemplificato nell’immagine all’inizio del post.
Update (19-01-2012): sempre sul tema, un post di Eleonora Viganò con intervista a Luca Mercalli.
Image courtesy of Not Exactly Rocket Science